“Cercatelo su Google”
Cosa succede se facciamo pensare qualcun altro o qualcos'altro al posto nostro?
“The tendency to think of A.I. as a magical problem solver is indicative of a desire to avoid the hard work that building a better world requires. That hard work will involve things like addressing wealth inequality and taming capitalism. For technologists, the hardest work of all—the task that they most want to avoid—will be questioning the assumption that more technology is always better, and the belief that they can continue with business as usual and everything will simply work itself out.” [Will A.I. Become the New McKinsey?]
Non ho paura che i Large Language Models come ChatGPT mi rubino il lavoro, perché, seguendo la medesima logica tecnofoba, avrei dovuto temere che pure i motori di ricerca mi avrebbero rubato il lavoro.
Siccome la maggior parte delle persone non fa lo sforzo minimo necessario di cercare su Google la parte del mio lavoro che potrebbe essere tranquillamente sostituita da una chiave di ricerca, io continuo e continuerò a lavorare con una certa serenità — e ringrazio.
Ho perso il conto della quantità di volte con cui ho sorpreso qualcuno con una nozione a cui si poteva risalire in pochi secondi, cliccando sul primo risultato di Google, dedicando qualche minuto di lettura.
Anni fa, un mio professore, di fronte all’ennesima nostra domanda che riteneva stupida, disegnò sulla lavagna una curva gaussiana per spiegarci che l’intelligenza, come molti fenomeni, seguiva quel tipo di distribuzione statistica.
“Non fatemi domande di questo tipo”, disse, poco simpaticamente, indicando il primo quartile della distribuzione (per i non avvezzi alla statistica: stava indicando la minoranza di persone dotate di un intelletto molto inferiore alla media).
Non è e non era corretto farne una questione di intelligenza relativa o assoluta delle persone. Difficile categorizzare qualcosa di così complesso come l’intelligenza.
Il fatto che il mio lavoro possa essere sostituibile o meno da un macchina non dipende né dall’intelligenza della macchina, e nemmeno dall’intelligenze dele persone.
Nessuno strumento che dipende pesantemente dalla curiosità e intenzionalità umane potrà mai sostituirsi a quello che faccio — che, più spesso di quanto mi piaccia ammettere, è proprio sostituirmi alla curiosità e intenzionalità assenti altrove.
Già oggi so interrogare ChatGPT meglio della maggioranza della popolazione, così come ho sempre saputo usare Google meglio della maggior parte delle persone, per anni.
Ammetto, vergognandomi un pochino, che pure io a volte mi sono trovato a dire “…e questo cercatevelo su Google” o frasi che somigliavano molto a quel “non fatemi domande (stupide) di questo tipo” di quel professore un po’ snob e saccente.
Sono consapevole del fatto che quello non è un modo positivo né costruttivo di rapportarsi con gli altri, ma (sarà l’età?) sto diventando sempre meno tollerante sia nei confronti della tecnofobia gratuita, sia alla mancanza di curiosità e intenzionalità delle persone.
E, attenzione, non scrivo tutto questo da una posizione di comodo, rilassata, saccente o denigratoria: se più persone sapessero usare Google o ChatGPT io potrei dedicarmi a interessarmi, insegnare, parlare e discutere di argomenti che ritengo molto più interessanti e utili, per me, per gli altri e per il resto del mondo.
Quello che mi infastidisce, insomma, non è la presunta stupidità delle persone o la presunta intelligenza dell’artificiale, ma che si tratti dell’ennesima occasione persa per fare qualcosa di meglio rispetto a quanto fatto finora.