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Cinque anni di consulenza

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Cinque anni di consulenza

A volte non sapere dove vuoi andare è la chiave per arrivare da qualche parte.

Davide Tarasconi
Nov 21, 2022
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Life Lessons from the Cheshire Cat

“Vorresti dirmi che strada devo prendere, per favore?”

“Dipende, in genere, da dove vuoi andare” rispose saggiamente il Gatto.

“Dove, non mi importa molto” disse Alice.

“Allora qualsiasi strada va bene” disse il Gatto.

“…purché arrivi in qualche posto” aggiunse Alice per spiegarsi meglio.

“Per questo puoi stare tranquilla” disse il Gatto. “Basta che non ti stanchi di camminare.”

Lewis Carroll — Alice nel Paese delle Meraviglie

1. Origin Story

Nel Marzo del 2017 ho lasciato l’ultimo lavoro come dipendente che ho fatto a causa di una tempesta perfetta:

  • A quel punto avevo cambiato 4 lavori tra la fine del 2013 e metà del 2016

  • Mio padre era nella fase terminale della sua malattia (se ne sarebbe andato a poi nel Maggio del 2017)

  • Per ovvie ragioni avevo smesso di credere che il mio posto fosse dentro un’azienda. Non dopo aver provato (e fallito miseramente) a lavorare per quattro aziende diverse nel giro di poco più di tre anni

  • Per altrettante ovvie ragioni — tuo padre che muore a 58 anni dopo sette anni di malattia — volevo essere più in controllo di come utilizzavo il mio tempo e le mie energie

Volevo chiarire come prima cosa da dove sono partito, queste condizioni di partenza, perché è una parte fondamentale del come mi sono trovato qui, dopo cinque anni.

Non ha a che fare con i soldi.

Non ha a che fare con quanto sono bravo.

Non ha a che fare con “avere un piano”.

Non ha a che fare con il “farcela a tutti i costi”.

Ha più a che fare con il non stancarsi di camminare, per citare lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie.

2. Quadruplo salto mortale e mezzo carpiato

È il tuffo più difficile che si possa fare.

È quello a cui mi riferisco quando provo a definire quello che ho provato a fare —e provo a fare tutt’ora— perché, vedete, un sacco di persone che iniziano a fare i freelance di solito seguono il percorso con meno resistenza, e fanno bene: lavorano in uno specifico ruolo in un’azienda per diversi anni, e iniziano a fare i freelance facendo per i loro clienti quello che hanno fatto in azienda per molti anni.

Questo non è stato il mio caso.

Non avevo obiettivi chiari.

Non avevo un piano, una visione.

Volevo cambiare percorso non non avevo una direzione, una mappa, una previsione del tempo.

Quello che avevo era un lista —pure breve, a dirla tutta— di cose che non volevo più affrontare, lavorativamente parlando.

La conclusione a cui sono arrivato: posso evitare, parzialmente o totalmente, questa lista di aspetti spiacevoli solo se faccio il consulente in un ruolo diverso da quelli che ho ricoperto finora.

Quindi sono dovuto diventare un consulente freelance e, in un certo senso, lasciami alle spalle tutte le mie precedenti esperienze di persone che ne sapeva di business intelligence, che ne sapeva di sviluppo web, che ne sapeva di sviluppo mobile, che ne sapeva di UX, che ne sapeva di project management.

Sono, da ogni punto di vista, un generalista che ha provato ad emergere in un mondo che sembra continuare a preferire gli specialisti.

Intuitivamente sapevo che avrei dovuto operare al di fuori dalle aziende, come consulente, per riuscire a trovare quell’equilibrio che ho faticato a trovare nelle mie precedenti esperienze lavorative: consulenza, OK, ma su cosa?

3. Sono stato fortunato (ancora)

Appena ho pensato di essere pronto per tornare a lavorare, Marco mi ha contattato.

Non ricordo esattamente come me l’ha venduta, ma è stato qualcosa del tipo: “stiamo provando a portare Agile agli HR e rendere le aziende consapevoli che Agile non è solo per i tecnici, ma che è fondamentalmente per le persone e delle persone, e di tutta l’organizzazione”.

Mi sembrava abbastanza diverso da tutto quello che avevo fatto fino a quel momento da farmi dire subito “Perché no?”.

Pochi mesi dopo, il mio primo progetto di trasformazione organizzativa ha coinvolto più di 600 persone in un’azienda con migliaia di dipendenti. Le montagne russe sono iniziate subito.

In cinque anni:

  • Ho fatto formazione a più di 500 persone

  • Ho fatto coaching a più di 40 tra team e gruppi di lavoro

  • Ho lavorato con più di 20 aziende

  • Ho progettato e facilitato più di 30 workshop tematici, e centinaia di incontri

Sembrano 15 anni di lavoro compressi in 5, gli ultimi due e mezzo, poi, se avete notato, con una pandemia in corso.

È stato un corso accelerato in consulenza organizzativa, coaching di team, formazione delle persone su argomenti complessi tipo “come cambiamo il modo in cui lavoriamo — e, di conseguenza, il mondo in cui pensiamo circa il lavoro?”.

Ogni giorno mi imbatto in qualche nuovo argomento o aspetto del mio lavoro che merita di essere studiato ed esplorato. Sarà un processo di apprendimento e miglioramento infinito.

Dopo anni di fatica nel cercare di trovare il mio posto in azienda, ho capito rapidamente che questo era un percorso professionale che avrei potuto perseguire, senza annoiarmi, per il resto della mia vita.

4. Ombre consulenziali

Per un novizio come me, il mondo della consulenza ha delle dinamiche veramente strane.

Se, come ho fatto io, approcciate la consulenza dopo aver lavorato come un dipendente in aziende per 12 anni, dovrete affrontare un lungo periodo di adattamento per capire come funziona la consulenza, che regole ci sono, e, soprattutto che gioco vuoi giocare.

Le società di consulenza e i consulenti hanno una pessima reputazione.

A volte sembra che tutti odino i consulenti, ma, allo stesso tempo, le aziende, soprattutto quelle grandi, sembrano non poterne fare a meno.

Lavorando al fianco di altri consulenti, ho capito che consulente sono, e che consulente non sono. Ho capito che, è vero, c’è una consulenza predatoria e disfunzionale, ma ci può essere anche una modo diverso e più costruttivo di fare consulenza.

Certamente non sono il consulente in giacca-e-cravatta. Non sono il consulente che brandisce centinaia di slide di PowerPoint ad ogni riunione.

Non sono un consulente in body rental.

Ho capito che è rischiosetto prendere posizione in questo modo sul come fare consulenza. Ma è una mia scelta.

Le aziende che si sono abituate ad un certo tipo di consulenza possono e certamente mi vedranno come inefficace, se va bene, o come un più o meno amabile rompiscatole, a volte.

Tra qualche paragrafo dirò che non sono bravo a vendere me stesso, ma questo non significa che non sono chiaro e limpido su quale sia il mio approccio alla consulenza.

Se sei AD, sono uguale a te.

Se sei Head of Qualcosa, sono uguale a te.

Se sei team leader, sono uguale a te.

Se sei sviluppatore backend, sono uguale a te.

Se sei stagista, sono uguale a te.

Lavoro con te, non per te.

Fare il consulente che principalmente aiuta gli altri a pensare, anziché limitarsi a dare soluzioni pre-confezionate, fare il consulente che costruisce rapporti di partnership e collaborazione, anziché di sfruttamento e dipendenza, è molto, molto più difficile del previsto.

5. Soldi, tempo, energie

Scriverò ancora, con maggiore dettaglio, riguardo soldi, tempo ed energie quando sei un libero professionista.

Un argomento enorme, uno di quelli su cui non ho mai riflettuto quando lavoravo come dipendente.

In breve, cosa ho capito finora:

  • Le energie sono la risorsa in assoluto più preziosa che hai

  • Il tempo è dato, è una costante, ne puoi avere solo sempre meno, non puoi crearlo, non puoi gestirlo

  • I soldi non sono quello che pensi che siano, e dovresti cambiare la relazione che hai con loro

Come potete immaginare, uno dei problemi fondamentali dell’essere freelance è che sei solo.

A volte ti sembra di essere solo anche quando non lo sei o non dovresti sentirti solo, ma altre volte, siamo onesti, sei davvero, davvero solo e lasciato a te stesso.

Quando poco fa descrivevo sinteticamente qual è il mio approccio alla consulenza e in generale al lavoro, le persone dicono spesso che “la faccio facile” perché non ho un capo.

Di solito rispondo prontamente che io un capo ce l’ho eccome, ed è la persona che vedo riflessa nello specchio quando mi sveglio la mattina.

E spesso non è un buon capo.

I soldi, di per sé, sono un altro grosso tema.

Per farla breve: siamo schiavi del denaro da diversi punti di vista, e ci servono meno soldi di quelli che pensiamo, ma per capire quanti meno soldi ci servano dobbiamo iniziare a fare i conti che magari non abbiamo fatto. Sarà una cosa che creerà disagio.

Così però si impara che tutto quello che pensavamo di sapere sui soldi è sbagliato, oppure era utile quando si lavorava in azienda, ma completamente inutile quando si è freelance.

Le energie, invece, le puoi creare e gestire solo prendendoti cura della tua salute fisica e mentale — ci torno tra poco.

Energie, tempo e soldi sono il salato, grasso, acido e calore della tua carriera da freelance: se provi a massimizzare o ottimizzare tutti questi elementi contemporaneamente, il risultato sarà immangiabile.

5. I miei punti deboli

Per farla breve: non sono molto bravo a trovarmi clienti.

Questo non è qualcosa che un consulente dovrebbe dire di se stesso, ma, di nuovo, forse avete capito che non sono quel tipo di consulente.

La verità è che ho avuto così tanto lavoro da fare grazie ai miei colleghi di Agile Reloaded che non ho avuto tempo né bisogno di allenare i miei muscoli commerciali per trovarmi clienti miei.

Quindi gli aspetti di promozione del mio lavoro e di me stesso non sono per niente il mio punto di forza. Non è che non so cosa si potrebbe fare, o cosa dovrei fare. Su argomenti come il personal branding dei freelance ho letto, visto, ascoltato, ho studiato: insomma, le cose le so.

È che odio ragionare in termini di “target”. Odio il concetto di “personal branding”. Odio “scrivere per convertire usando i principi del SEO”.

Odio dovermi inventare i miei framework solo per dimostrare che sono competente.

Come dicevo prima, la mia strategia riguardo alle cose che non mi piacciono è:

  1. Essere davvero bravo a fare qualcosa che odio, così lo faccio nella maniera più efficace ed efficiente possibile e me lo levo di torno velocemente, oppure

  2. Creare una strategia per evitare sistematicamente di fare quello che non voglio fare (che è come sono finito a fare il consulente)

Sto quindi ancora elaborando quale sia la mia strategia del punto 2, una strategia che non mi costringa a diventare un “personal brand” o scrivere “articoli per il SEO”.

Ho provato e continuo a far parte di community di pratica, gruppi di interesse, network professionali, ma di nuovo: quando sono dentro quei gruppi, mi rendo conto di partecipare come un essere umano, e non come un venditore di me stesso.

In teoria adoro e condivido l’idea di “impacchettare” i servizi che offro come fossero prodotti.

Ma per fare questo, devo elaborare e scrivere contenuti più strutturato: devo scrivere di più, e quindi meglio.

Sto imparando come progettare dei corsi self-service fruibili unicamente via email, ad esempio.

Mi piacerebbe fare formazione in piccoli gruppi auto-organizzati — quello che viene chiamato cohort-based learning.

Non penso scrivere mai un libro.

E non aspettatevi il mio personalissimo framework organizzativo.

7. I lati oscuri

Ci sono, inevitabilmente, una serie di circostanze che occorre saper navigare. Alcune di queste, come spesso capita, sono circostanze che quando lavori in azienda non sono nemmeno nel tuo radar, o hanno un peso marginale.

Ma quando sei libero professionista emergono, si manifestano, pesano e ti preoccupano. Eccone alcune.

La paura di non essere in salute

Se fisicamente non ho mai avuto problemi finora, conosco i pericoli di non essere sano mentalmente. E lo stile di vita di un consulente freelance ti fa pagare dazio in termini di salute mentale.

Non esagero quando dico che la parte più importante del mio lavoro è prendermi cura di me stesso.

Ho anche una paura fottuta di morire prima dei 60 anni, siccome mio padre, purtroppo, è morto a soli 58 anni. Quando ne hai quasi 40 affrontare la vita come se fossi già a due-terzi, credetemi, prendete vita e lavoro in maniera diversa.

La paura di non essere capace di fare quello che vorresti fare

Tutto richiede un sacco di tempo per succedere. Ci sono alti e bassi. Ho una lista crescente di cose che vorrei fare ma che non ho ancora fatto. Le vedo tutte come fallimenti. Non dovrei.

Ho capito, almeno in parte, che avrò sempre più idee che tempo ed energia per realizzarle. Devo imparare a convivere con la questione.

La paura di non fare abbastanza soldi, o di perderli

Ogni passo al di fuori dal percorso che ho creato, lo sento finanziariamente, anche solo ipoteticamente. Se dico “no” a quel progetto, probabilmente guadagnerò il 15% in meno quest’anno? Se dico che non mi interessa più molto Agile, nessuno vorrà lavorare con me? Se lavorerò con clienti più piccoli mi pagheranno meno, in ritardo, o forse mai?

Anche l’insicurezza economica, vera o presunta, è qualcosa a cui non ero abituato a fare fronte quando lavoravo in azienda ed è qualcosa con cui da libero professionista devi convivere in continuazione.

Paura di dover piantarla con la consulenza e tornare a lavorare in azienda

Mi piace fare il consulente. Il mio posto è fuori dalla aziende. Mi sarebbe piaciuto saperlo prima.

Alcuni miei colleghi consulenti a volte dicono che sono sempre stato un consulente, solo che non lo sapevo. Qualche anno fa mi sarei offeso, se mi avessero dato del consulente. Oggi mi fa onore.

Queste paure non mi tengono più sveglio la notte, ma sono sempre lì ad aspettarmi.

Conosci i tuoi demoni, invitali a prendere un caffè, facci due chiacchiere, ma non evitarli.

8. Prossimamente

Di nuovo, non ho un piano dichiarato o specifici obiettivi in mente.

Ma ho un’idea più chiara di cosa fare di più e cosa fare di meno se penso a come sono andati gli ultimi cinque anni.

Fare di meno

Agile per il gusto di fare Agile

Penso che Agile sia stato irrimediabilmente rovinato dalla consulenza. Non si torna indietro. Ultimamente sto impiegando più tempo a sradicare falsi miti riguardo Agile che aiutare effettivamente team e aziende a essere più agili. Sono stanco. È una battaglia persa.

Grandi aziende

Per quanto lavorare con grandi aziende sia stato estremamente formativo per me, i miei interessi stanno volgendo verso temi che non sono così “di moda” per le grandi aziende. Continuerò a lavorare con loro, perché ho ancora molto da imparare, ma se voglio evolvere come professionista penso di dover trovare nuovi contesti in aziende più piccole.

Framework industrializzati

C’entra molto con i due punti precedenti. È innegabile che i framework e modelli organizzativi siano utili. È innegabile che, come consulente, essere conosciuto come qualcuno che “ne sa” di questo o quel framework è una opportunità commerciale, un vantaggio. La realtà è che spesso però ti riduci a vendere lo strumento di qualcun altro, ti fa passare la voglia di fare questo mestiere.

Lo showman

Vedo chiaramente i trend della consulenza freelance là fuori, soprattutto fuori dall’Italia dove ci sono mercati più maturi e avanzati. Lo so che c’è un modello, un archetipo del consulente showman, one-man band, che “fa tutto lui”. Non penso che sia sostenibile. Non penso mi piacerebbe, e, in ultima istanza, non credo sia nemmeno necessario.

Seguire i trend

Sto iniziando a vedere i contorni di quello che potrebbe essere la consulenza “post-Agile”. Ci sono alcuni, pochi aspetti interessanti, che derivano dall’aver capito cosa non ha funzionato nella consulenza in questi anni.

Per la maggior parte, però, ci sono diversi trend che mi sembrano solo un re-impacchettamento di concetti e approcci vecchi. Non sono sicuro di volerne fare parte.

Da una parte, non mi piace dire “no”, perché è un azzardo, e per quanta incertezza professionale possa gestire, non mi piace azzardare.

D’altra parte penso che tutto quello che c’è da sapere, i processi, le pratiche, è già stato scritto, è già la fuori, ed è là fuori da tanto tempo. Non ci servono “nuovi” approcci.

Fare di più

Self-coaching

Credo fermamente nella capacità delle persone e dei team, di fare coaching a se stessi e migliorare da soli. Voglio che le persone arrivino alle loro soluzioni con il minore intervento possibile da parte mia. Se io ho imparato pratiche di coaching e facilitazione in breve tempo, puoi farlo anche tu.

Aziende più piccole

Per quando ci siano svantaggi nel lavorare con le aziende grandi, e ce ne siano anche per quanto riguarda quelle più piccole, avendo lavorato in piccole aziende sia come dipendente che come consulente, è enormemente più facile far succedere qualcosa in un’azienda più piccola.

È anche più facile essere cacciato a calci in culo, da un’azienda più piccola, ma ci sta e, anzi, non la vedo per niente come un aspetto negativo.

Gruppi più piccoli

Penso che pretendere di fare coaching a team o gruppo di 10 persone o addirittura a intere organizzazione sia pretenzioso.

Penso che nemmeno i migliori coach siano in grado di influenzare più di 3-4 persone per volta. Specialmente lavorando da remoto. Penso che ridurre ad una dimensione più umana l’impatto del coaching sia la direzione inverso cui muoversi.

Network di consulenza

Questo è il contrappunto al proposito di voler evitare di fare “lo showman” o il one-man band di cui parlavo prima. Vorrei davvero abbassare la pressione “a vendermi” che sento lavorando con gruppi di altri consulenti con competenze complementari.

Lavorare a progetto

Questo è legato al tema del network qui sopra. Penso che molta della consulenza nel mio campo sia impostata come una relazione di lungo periodo, specialmente con le grandi aziende. Vorrei davvero ridurre la finestra di collaborazione a tre mesi, con cicli di feedback e obiettivi concreti e a breve termine.

Mentoring

In pandemia mi sono appassionato al mentoring, prima facendolo in maniera quasi inconsapevole, poi in maniera sempre più strutturata e consapevole, studiandolo per conto mio e cercando di capire come e a chi avrei potuto essere utile.

Per ora mi sono trovato bene e ho raccolto buon feedback aiutando:

  • Agile coach, Scrum Master, Product Owner e più in generale persone che hanno responsabilità di coordinare il lavoro in team, o fanno parte di team poco organizzati

  • Studenti e studentesse prossim* all’entrare nel mondo del lavoro, o professionist* che sono nei primi anni della loro carriera

  • Persone che stanno pensando ad un cambio di carriera

Mi puoi trovare per sessioni di mentoring gratuite:

  • Sul mio Calendly

  • Su Zwap

  • Su The Mentoring Club

Ho appena completato un corso Foundation di mentoring e sto seguendo un corso di 6-8 mesi su progettazione e project management di progetti e programmi di mentoring in azienda: perché è vero, fare il mentore è figo, ma ogni tanto ci vuole anche qualcuno che dietro le quinte organizza bene il lavoro.

Epilogo

Questo è quanto, per il momento. Ho la sensazione che i prossimi cinque anni saranno ancora più interessanti e deliranti dei precedenti cinque.

Se vuoi contattarmi e aggregarti a questo viaggio, scrivimi a davide.tarasconi@gmail.com oppure prenotami per una call di 30 minuti qui.

Se ti piace LinkedIn, mi trovi qui.

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